Con il termine “Commedia all'italiana” si fa riferimento a un filone cinematografico sorto in Italia nel corso degli anni cinquanta del Novecento e sviluppatosi nei successivi anni sessanta e settanta. Una espressione coniata dal film “Divorzio all’italiana”, uno dei più grandi successi cinematografici del tempo vincitore al Festival di Cannes del 1962 come miglior commedia e del premio Oscar per la miglior sceneggiatura originale.
Ma cos’è la commedia all’italiana e in che modo questo genere cinematografico ha mutato usi e costumi dell’Italia post bellica? Per farlo, prendiamo in prestito le parole di Mario Monicelli, che con “I soliti ignoti” è stato protagonista nel 1958 di questo nuovo filone.“La commedia all’italiana è questo: trattare con termini comici, divertenti, ironici, umoristici degli argomenti che sono invece drammatici. È questo che distingue la commedia all'italiana da tutte le altre commedie.”
Facendo un passo indietro di qualche anno, fu Totò a rendere mainstream – per l’epoca, s’intende – questo genere cinematografico grazie al capolavoro di Mattoli “Miseria e Nobiltà”. Una cartolina di una Napoli popolare nella quale due famiglie si ritrovano a condividere un piccolo appartamento per necessità. Qui, tra letti a castello, vestiti bucati, lavori che stanno per cadere in disuso (lo scribacchino) viene ordita una truffa amorosa per convincere un famoso cuoco a concedere il benestare per il matrimonio del figlio con una donna dalle umili origini.
E’ un’Italia che si risveglia dalle macerie e che tenta di farsi largo, attraverso il cinema, per ricostruire una cultura andata in frantumi con il ventennio fascista. Un Paese meno abbottonato nel quale non è più tutto sotto il controllo dell’Istituto Luce o del MinCulPop e le differenze sociali possono essere raccontate per tramite di stereotipi e caricature. Un genere, quello della commedia all’italiana, che eredita i canoni del neorealismo e che parte sempre da fatti di cronaca quotidiana sapientemente rivisitati dagli sceneggiatori dell’epoca. L’elemento della satira da sempre era servito a raccontare comportamenti e tendenze mutate di una società: facendo un ulteriore salto nel passato possiamo arrivare fino a Aristofane per il teatro greco classico, a Plauto e Terenzio per quello latino e, via via, ad autori come Molière o Goldoni.
Dino Risi e Mario Monicelli si ergono a protagonisti dietro la camera da presa per immortalare mostri sacri come Marcello Mastroianni, Sophia Loren, Stefania Sandrelli, Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Lando Buzzanca e Vittorio De Sica, solo per citarne alcuni. Una produzione vincitrice di molteplici premi Oscar grazie anche alle penne di sceneggiatori come Eduardo De Filippo, Alberto Moravia e Cesare Zavattini.
La commedia all’italiana ha sdoganato vizi e virtù a ogni latitudine, raccontando anche i temi della discriminazione delle periferie, le pessime abitudini talvolta ridondanti e inutilmente ossequiose dell’alta borghesia fino alla bontà proveniente da un unico comune denominatore: il popolo. Fiero e sincero, pur tra le mille difficoltà che accompagnavano un periodo storico di ricostruzione.
Ed è proprio grazie alla spinta del popolo che questo genere cinematografico trovò verve e consensi tra nord e sud del Paese, unendo l’Italia grazie alla contemporanea diffusione di un mezzo di comunicazione che avrebbe stravolto irrimediabilmente di lì a breve le abitudini dei fruitori italiani: la televisione.
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